La psicopatologia del legame affettivo
La psicopatologia del legame affettivo oscilla tra la con-fusione e l'identità: vivere in simbiosi o diventare autonomo e responsabile?
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Se ci fermiamo ad osservare il contrasto che esiste tra le meraviglie dell’universo e la sofferenza umana che si sviluppa al suo interno, inevitabilmente proviamo sgomento e incredulità.
Ma anche la curiosità e il desiderio di conoscere e comprendere quale tragica e perversa relazione esiste tra la possibilità di vivere la propria vita nel piacere della bellezza universale e la sofferenza che segna l’impossibilità di abbandonarsi al godimento di tale grande meraviglia.
La vita dell’essere umano, nel suo particolare modo di essere e di esistere nel suo ambiente naturale e culturale, materiale e spirituale, individuale e collettivo è scandita dai fondamentali momenti del concepimento, della nascita e della crescita che evidenziano il suo sviluppo evolutivo realizzato attraverso stadi maturativi diversi.
Ciò che poi caratterizza l’esistenza dell’uomo nel suo specifico ambiente è il suo comportamento che, mediato da richieste culturali condivise ed implicite ne indica l’appartenenza ad un preciso gruppo sociale e governa la qualità e la quantità delle sue interazioni con i suoi simili.
In ogni relazione sono presenti gli elementi simbolici che creano un particolare clima interattivo qualificato dalla libertà, dal coraggio, dalla fiducia e dalla speranza che si sviluppano per determinarne l’orientamento e la profondità di ogni legame affettivo che può restare su un livello superficiale o spingersi fino all’intimità.
Il comportamento umano traduce in materialità i significati culturali simbolici che vengono trasmessi dal gruppo di appartenenza del soggetto e che, nella loro totalità ed integrazione, concorrono a determinare la formazione dell’identità dell’uomo.
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Nell’attuale contesto politico-sociale, l’uomo sembra manifestare un particolare tipo di comportamento che dimostra di aver subìto una pressione a diversi livelli psicologici, cognitivi ed emotivi, tale da determinare una distorsione concettuale degli elementi costitutivi della relazione umana emergenti dall’incontro di un polo etico e di un polo affettivo della relazione stessa.
Il risultato è che, le esperienze affettive dell’uomo moderno, sono vissute sempre di più come realtà dell’Io individuale sature del proprio senso e delle proprie emozioni.
Inoltre, lo spazio riservato all’incontro con l’Altro è contaminato da sentimenti di diffidenza e di paura tali da indurre a considerare il proprio simile minaccioso e pericoloso dalla quale difendersi.
La confusione che circonda la qualità dei legami affettivi oggi, è percepibile attraverso tutto il nostro apparato sensoriale nei diversi contesti di vita e riguarda tutti i tipi di legami sia quelli di tipo orizzontale, paritari e simmetrici e sia quelli di tipo verticale, intergenerazionali e asimmetrici e tale dispersione affettiva si manifesta attraverso sentimenti di frammentazione e la messa in atto di comportamenti in cui si evidenziano valori e codici personalizzati.
Lo stesso concetto di affetto ha subìto, nel tempo appena trascorso, una compressione ed una distorsione epistemologica ed è stato ridotto ad una dimensione istintuale e sessuale perdendo la capacità di trascendere il suo determinismo biologico per arrivare all’espressione massima del divino e del sacro.
L’affetto, che nasce già da un rapporto relazionale insito nel suo concepimento attraverso il matris-munis, quale dono della madre che dà la vita al figlio, ed il patris-munis, quale cura del padre che guida, induce ad interiorizzare le regole, dà coraggio e spinge il figlio verso il mondo popolato da altri uomini, determina la qualità della relazionalità dell’uomo.
La relazionalità umana è da più parti definita scadente poiché si osserva un suo irrigidimento sulla dimensione individualistica che, paradossalmente, è una dichiarazione manifesta di come l’uomo tende ad andare contro la sua stessa naturalità.
Tale irrigidimento è causa di sofferenza ed il malessere si registra, in primo luogo, nel legame affettivo che è alla base di tutte le forme relazionali, il quale risente del desiderio di un abbandono fiducioso all’Altro nel calore e nell’intimità della relazione e che invece, si sfalda e si frammenta nell’impossibilità di ricongiungere i suoi elementi costitutivi.
È urgente e necessario che venga ritrovata e riconosciuta la valenza etico-affettiva dei legami affinché consolazione, appoggio e rispecchiamento non si traducano in una ancora peggiore espressione di narcisistica ricerca di sé e l’oblatività, il supporto e la gratitudine non perdano il loro significato e senso di realtà ed esistenza.
Occorre che ciascuno possa, e voglia, prendersi cura del riconoscimento e della legittimazione dell’Altro, che possa essere da lui amato per ciò che è, riconosciuto nella sua diversità e differenza.
Occorre rivedere il concetto di educazione che, fin dalla nascita, si pone come filo conduttore dello svolgimento della vita e l’ex-ducere il proprio figlio – oggi caratterizzato da una valenza seduttiva del se-ducere – necessita il ritorno alla valenza educativa autorevole e costellata di regole flessibili, ma ferme, tali da essere contenitore e guida per le scelte e per la realizzazione della propria individualità.
Diversi studi e ricerche hanno dimostrato come l’attuale disponibilità dei genitori a rendere facile e indolore l’attraversamento degli stadi di sviluppo del proprio figlio rende difficile il suo distacco dal nucleo familiare, ostacolando così il suo processo di individuazione e favorendo quel particolare fenomeno, tanto attuale, della famiglia lunga all’interno del quale i giovani restano aggrappati per la loro sopravvivenza nell’impossibilità di trovare le forze, il coraggio e la spinta giusta per fondare, a loro volta, una nuova famiglia, garanzia della continuità generazionale.
Occorre dire che, le diverse generazioni con i loro particolari momenti storici hanno prodotto diversi cambiamenti nell’organo istituzionale della famiglia che da normativa è diventata etica e poi affettiva e, tali passaggi, rigidamente costituiti, hanno determinato un’alterazione dei contenuti valoriali ed etici insiti nel concetto stesso della famiglia privilegiando ora l’aspetto normativo, poi quello etico ed infine quello affettivo con un disequilibrio sui versanti di responsabilità e di libertà.
Oggi, nella volontà e nel desiderio di far prevalere l’affettività nei legami attraverso la liberalizzazione delle emozioni, si assiste ad un abbandono di regole e di cura organizzativa del proprio nucleo familiare che, anziché favorire l’espressione affettiva ha determinato un vuoto di espressione laddove viene a mancare il contenuto emozionale da esprimere evidenziando così, una sorta di analfabetismo affettivo ed emozionale tale da non consentire la possibilità di conferire senso e significato ai suoi luoghi affettivi e relazionali.
La formazione dell’identità soggettiva enunciata da Erikson è resa perciò difficoltosa e non solo a seguito del cambiamento strutturale della famiglia ma anche, e soprattutto, a causa del cambiamento del ruolo paterno che perdendo la figura normativa di guida e di limite, punitiva e protettiva tale da consentire lo sviluppo del figlio adattato alle norme interiori e sociali ed emulando sempre più una funzione materna, non è più in grado di porsi come elemento di interruzione della relazione simbiotica madre-figlio.
La psicopatologia del legame affettivo, in tale panorama, oscilla, senza mai trovare equilibrio, tra con-fusione ed identità in riferimento alla possibilità del soggetto di vivere le sue relazioni affettive in condizione di simbiosi e conseguente confusione di esperienze con le persone del suo nucleo familiare e contemporanea necessità di distinguersi e differenziarsi per diventare autonomo e responsabile del proprio progetto di vita.
Sentimenti di vuoto esistenziale e fuga dallo smarrimento spingono l’uomo verso la ricerca del proprio senso di identità che, nella sua difficile determinazione per motivi diversi che possono essere di tipo motivazionali, cognitivi, affettivi o comportamentali producono atteggiamenti di dipendenza da persone, cose o sostanze con l’aumento, già nell’attualità, di psicopatologia sintomatologica caratterizzata da attacchi di panico, fobie diverse, isolamento, comportamenti di azzardo ed aggressivi nel tentativo di trovare, dall’esterno, un senso ed un significato alla propria esistenza.
La considerazione sui cambiamenti avvenuti nella famiglia si aggrava, per alcuni soggetti particolarmente fragili, a causa di particolari condizioni che rendono insolubili i conflitti generati, non solo per la disfunzionalità nella coppia genitoriale e per la povertà delle risorse economiche, dalle immature e ridotte risorse psicologiche che producono storie di aggressività e violenza e che incitano il giovane adulto che desidera svincolarsi da un sistema chiuso, rigido e resistente al cambiamento, a costituirsi ad immagine e somiglianza della sua famiglia d’origine senza mai poter trascendere ed evolversi dalla condizione originaria.
La manifestazione della disfunzionalità affettiva e relazionale avviene, poi, attraverso i tratti di personalità che, nel loro irrigidimento, tendono a proteggere l’individuo dalla carenza ambientale e dalle situazioni interpersonali disadattive, configurandosi in veri e propri disturbi di personalità con immane sofferenza soggettiva ma anche con tanta sofferenza collettiva nel momento in cui, la disfunzionalità, si ripercuote nelle relazioni distorte che il soggetto disturbato crea con il partner o con i figli da lui generati.
Nell’attuale panorama sociale due particolari condizioni umane sembrano dimostrare, nella sua accezione di naturalità, una forma di psicopatologia di base collegata alla relazione affettiva e precisamente la dipendenza delle donne dalle figure maschili che si pone come condizione di sostentamento e di presenza nel mondo sociale ed i cosiddetti bamboccioni, ovvero i giovani trentenni frutto di un’epoca caratterizzata da precarietà ed instabilità che non consente di poter progettare la loro vita per garantirne la continuità generazionale.
Se la prima condizione, quella femminile, è stata nel tempo affrontata dalle donne con l’acquisizione di consapevolezza e determinazione, tanto che oggi le donne sono presenti nella vita sociale con sufficiente riconoscimento da parte della categoria maschile e anche all’interno del nucleo familiare i compiti quotidiani e domestici trovano spazio nella condivisione tra i partner invece, la seconda condizione, quella tra i giovani trentenni che caratterizzano le famiglie allungate è solo recentemente considerata in quanto fenomeno sociale senza che, il grido di allarme che da più parti arriva, possa avere ragione di intervento e di cambiamento attraverso l’interruzione dei legami dipendenti con la spinta verso l’autonomia e la responsabilità.
Quando poi, questi uomini e queste donne con la loro mancanza di autonomia e di responsabilità costruiscono, per la legge naturale della riproduzione, una famiglia, la società si ritrova a gestire e a spiegare tragedie umane nel caso in cui l’uno o l’altra, perdendo il lume della ragione per ragioni spesso incomprensibili, diventa esecutore di morte fisica sia dei congiunti che delle persone casualmente incrociate in quel preciso momento di vita.
I bisogni di controllo e di potere, di questi soggetti, possono elevarsi talmente tanto da condizionare tutta la loro esistenza fino a spingersi alla soppressione e distruzione delle persone ritenute oggetti da possedere e non un proprio simile.
Al contrario però, qualora talune condizioni favorevoli orientano verso la consapevolezza della propria condizione e, il soggetto è in grado di attivare con le sue forze una progettualità per la realizzazione di sé stesso, allora la condizione di svantaggio può diventare una risorsa perché la conoscenza acquisita gli consente di poter meglio valutare gli obiettivi ed i desideri e soddisfarli con adeguatezza.
Ciò che il soggetto percepisce è un sentire di non esserci, di non contare, di non essere utile o indispensabile con la percezione che la sua esistenza sia senza scopo e senza senso e perciò il futuro, piuttosto che essere visto come un non ancora carico di aspettative e di promesse, è oggi visto come un tempo che verrà da vivere con noia, indifferenza e sconforto.
Acquisire consapevolezza sulla propria esistenza impone all’uomo moderno una riflessione sulla sua difficoltà ed incapacità di adattarsi all’ambiente che, in primo luogo, è determinato dalla necessità biologica di mantenere per lungo tempo le sue funzioni fetali con la necessità di dipendere dagli Altri e di dover costruire elementi sociali che gli consentano di potersi integrare al suo interno.
Così come l’uomo ha la necessità di appropriarsi dell’ambiente modificandolo ed adattandolo a sé, il genitore si appropria del proprio figlio che, nella sua iniziale totale dipendenza dai genitori, crea l’illusione genitoriale di poterne realizzare la loro copia fedele o poter, attraverso lui, rinascere trovando, fantasticamente, la possibilità di eternarsi negando il tempo e la mortalità.
Il bambino viene, dunque, ritenuto oggetto di tali aspettative genitoriali ed egli, per la sua sopravvivenza, tenderà a conformarsi per evitare o superare gli abbandoni, le perdite, le rinunce e le angosce.
Se, il processo neotenico del bambino, da una parte, come è auspicabile, si conclude con il suo distacco dalle figure genitoriali allora egli potrà realizzare la sua individualità responsiva in modo graduale e completa. Se, invece, il processo si blocca o si altera incistandosi su un desiderio o sulla paura del genitore e, nel tentativo di trattenerlo a sé per meglio possederlo o per eccessiva preoccupazione per la sua incolumità non tollerandone la sua sofferenza fisica, può concretizzarsi su un versante psicopatologico caratterizzato da incapacità a vivere la propria vita e manifestando l’esigenza di possedere un’altra vita per poter vivere la propria.
Bowlby (1982), con la sua teoria sull’attaccamento descrive bene le dinamiche affettive e relazionali che si realizzano fra bambino e genitore e, mette in evidenza che, la psicopatologia del legame affettivo dipende dalla modalità interattiva della relazione tra individuo ed ambiente e dagli eventi che intervengono ad imprimere rigidità al processo plastico e flessibile della neotenia.
Per attaccamento si intende il particolare modo con cui la figura genitoriale sostiene i bisogni di sicurezza del bambino dalla quale, nella sua vita adulta, dipenderà la sua modalità relazionale e la struttura della sua soggettività.
Il bambino, attraverso la relazione con la madre potrà sviluppare un determinato comportamento di attaccamento nei suoi confronti, la cui funzione biologica è l’autoconservazione e la sopravvivenza ma, che nella sua evoluzione, entra in gioco nella formazione dell’identità determinandone l’autonomia o la dipendenza.
Numerose ricerche e diversi studi hanno prodotto interessanti scoperte non solo nella qualità dell’attaccamento ma anche nella manifestazione degli affetti e delle emozioni tanto che, il costrutto dell’alessitimia di Caretti & La Barbera (2005), intesa come disregolazione affettiva fino all’anaffettività, ed un uso eccessivo e rigido del meccanismo di difesa della dissociazione, qualora frequentemente utilizzato per distaccarsi da una realtà percepita ansiogena e pericolosa, sono stati ritenuti responsabili di sofferenza psicologica in soggetti con una vulnerabilità narcisistica di base.
Inoltre, se nell’ambito delle neuroscienze la qualità relazionale e la base dell’intersoggettività sono state rinforzate dalla scoperta dei neuroni specchio che consentono l’apprendimento emulativo, in ambito evolutivo e intersoggettivo Stern (1998) afferma l’esistenza precoce di stati affettivi interni che si sviluppano all’interno di una matrice intersoggettiva in cui il bambino crea e già, dal suo secondo mese di vita.
Alle interazioni duali madre-bambino ed alle diverse tipologie di attaccamenti multipli che dispongono la base psichica del bambino, durante lo sviluppo segue, nella costituzione del suo senso di identità, il tipo di modello educativo che interviene per adeguare ed adattare il suo comportamento alle aspettative sociali e normative dell’ambiente.
Questo prende l’avvio dagli stili educativi propri della coppia genitoriale, la quale interviene alla formazione della sua struttura di personalità come uno scultore che modella la sua pietra attraverso azioni repressive o incoraggianti, verso l’uno o l’altro comportamento.
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Il significato di e-ducere, oggi spostato verso il versante della seduzione, ha perso il significato di regola normativa e limitante e, spesso, si trasforma in atteggiamento coercitivo finalizzato al controllo ed all’ottenimento delle aspettative, senza tenere conto delle esigenze e dei bisogni del bambino.
Un modello educativo centrato sulla critica dei sentimenti del bambino e sulle sue pulsioni, ad esempio, produce in lui sentimenti di rabbia che scadono in sensi di colpa e sentimenti di vergogna.
Quando il senso di responsabilità viene ottenuto attraverso comportamenti che generano rabbia, frustrazione e senso di inefficacia, la colpa e/o la vergogna condizionano l’individuo a vivere in modo astratto ed illusorio, facilitando l’attivazione del distacco dalla sua realtà.
La pedagogia moderna ha introdotto l’esigenza, per le figure genitoriali, di considerare ogni rimprovero come una ferita sull’identità da curare, nell’immediato successivo momento con un doppio rinforzo positivo fatto di lode o di approvazione.
Un modello educativo adeguato è quello che innesca il processo del pudore inteso come necessità di velare per proteggere ciò che è sentito intimo e quindi fragile e delicato. Pudore come sentimento di rispetto, di ritegno e di contenimento, come strumento che aiuta a trovare un equilibrio tra il desiderio di fusione e di intimità mantenendo vivo il problema dell’alterità e della differenza.
L’esigenza, allora, di un’educazione socio-affettiva riconduce alla modalità strutturale della famiglia e, con maggiore interesse, al contenuto emozionale ed affettivo della famiglia.
L’identità dell’uomo si forma attraverso l’amore, sentimento che regola le distanze, che concede la possibilità di soddisfare i bisogni primari per non ritualizzarli nella vita adulta ma, l’espressione dell’amore si realizza nei pensieri e nelle azioni e, qualora non trovi le condizioni per realizzarsi lascia mancanza se non c’è mai stato, assenza se è stato perso o incomprensione se è stato distorto nella sua manifestazione.
L’amore coincide con l’affetto quando nelle relazioni funge da carburante per la loro attivazione, per la loro dinamica realizzazione ed evoluzione.
La necessità, allora, di pensare a trattamenti psicoterapeutici volti alla cura fa riattraversare, seppur sinteticamente, la costruzione di modelli teorico-interpretativi della psicopatologia della relazione affettiva che, distinti per il tipo di orientamento e per epoca di realizzazione mettono in evidenza punti di vista diversi che convergono però, tutti, nell’attenzione alla relazione madre-bambino, alla relazione con gli educatori, con i pari e infine, alla relazione terapeutica che, ponendosi come condizione di riattraversamento delle relazioni consente la possibilità della guarigione e della cura.
La prevenzione, allora si pone come cura dell’anima, come cura personale della propria relazionalità, del proprio adattamento e del proprio benessere, riconoscendo che la psicoterapia è uno strumento di cura adeguato e funzionale seppur con l’inconveniente variabile tempo, giacché impone un cambiamento a lunga scadenza.
Per l’uomo di questa epoca, è, dunque, necessario, urgente e sano preoccuparsi della sua modalità relazionale ed affettiva considerata fondamentale per poter vivere la sua particolare vita nella sua particolare forma di esistenza e per poterla realizzare attraverso la propria progettualità e le proprie scelte.