Il nido familiare

Un contratto affettivo e sociale chiaro e condiviso dalla coppia


Maria La Russa
Il nido familiare

Quando avviene una tragedia umana la nostra attenzione, incredula e sgomenta, si concentra sulla persona che ferma una vita e sull’altra persona che per l’altrui azione la perde.

Ci tuffiamo a curiosare immediatamente sul loro modo di essere e di fare; solo in un secondo tempo l’attenzione si allarga verso il loro contesto familiare, i loro figli, il loro lavoro, i loro parenti e gli amici che durante la loro vita sono stati accoglienti e supportivi o, al contrario, ostili e distruttivi. 

Siamo desiderosi e attivi per comprendere e per conoscere i motivi e le cause che hanno prodotto quel dramma e percepiamo che qualcosa di delicato e, allo stesso tempo terribile non viene mai detto o scritto.

Qualcosa di misterioso, di occulto e di tragico è nascosto in quella situazione.

Ma cosa ha prodotto tale scempio? 

Quando una coppia si forma, amici e parenti gioiscono perché la loro unione rinforza i singoli soggetti, rende possibili le scelte ardue da fare per costruire e strutturare un nido familiare, sostenendosi reciprocamente nelle difficoltà della vita da affrontare.

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Ma, in modo silenzioso e serpeggiante, rispettando il fatidico proverbio fra moglie e marito non mettere il dito gli stessi amici e parenti si eclissano quando le dinamiche disfunzionali della coppia producono conflitti emozionali e comunicazionali o quando la loro unione è, al contrario, motivo di debolezza e di distruzione del nido stesso, costruito con la gioia e il sostegno di tutti loro.

Gli stessi protagonisti che sono coinvolti nella relazione affettiva, spesso, non sono in grado di verbalizzare la profondità e l’intensità delle loro emozioni che hanno agito da motore propulsivo per un cambiamento positivo che produce evento generatore della vita di un nuovo essere o, al contrario, per un cambiamento altamente distruttivo come l’arrecare la morte fisica ai loro affetti più importanti. 

D’altra parte i professionisti che si occupano di comprendere e spiegare certi comportamenti criminosi e delittuosi, assumono un atteggiamento schivo e disinteressato quando sono chiamati a dare il loro parere dato che, l’evento irreparabile, è ormai accaduto ed il loro intervento è, quasi esclusivamente, finalizzato ad indagini penali.

E poco importa se le spiegazioni su una particolare dinamica familiare possono essere attenzionate per evitare o intervenire su altre dinamiche familiari simili.

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Si scopre che nelle famiglie di origine della coppia, spesso, non si parla mai di sentimenti e di emozioni ma solo di comportamenti giusti o sbagliati che lasciano intravedere un giudizio sociale che altera l’affettività rendendola deficitaria di comprensione.

La nostra stessa educazione non è avvezza a considerare emozioni e sentimenti come dinamiche da governare o da provare e gestire ma, al contrario, si è tramandato da generazioni in generazioni un obbligo a subire, a non intervenire, a non comprendere per correggere ma rimanere inebetiti davanti ad emozioni e sentimenti aggressivi e distruttivi.

In passato, il dolore e la sofferenza individuale dell’uomo comune si contraddistingueva per gli eccessi del senso di colpa prodotti da una cultura centrata sul peccato religioso ed etico che producevano angosce, conflitti e strategie di evitamento per non accedere alla sofferenza e per gli eccessi del senso della vergogna che impedivano la spontanea espressività del soggetto con difficoltà a vivere la vita nella sua globalità.

Oggi, invece, si assiste ad una marcata spregiudicatezza dell’azione relazionale centrata sul sottomettere e dominare l’altro con un gioco di potere che spesso, nell’impossibilità di raggiungere il dominio, si conclude con la spinta disumana necessaria a bloccare l’altro che, quasi inevitabilmente produce la morte del soggetto che si rifiuta di essere dominato.

Nella nuova generazione, il modello educativo centrato sul senso di colpa, utile per flettere la volontà dell’educando, e sul senso della vergogna necessario per evitare lo sbracamento sociale è oggi in crisi per la perdita o lo stravolgimento dei due particolarissimi sensi.

Piuttosto che regolare ed interpretare gli errori del passato per migliorare la mentalità che governa le identità di genere si tende ad annullare o cancellare gli errori scegliendo l’opposto, portatore di ulteriori errori.

La cultura della libertà ha imposto l’individualismo che allontana dalle relazioni mentre il libero espressionismo corporeo sessuale ha generato la perdita del senso del pudore, prodotto etico del senso della vergogna, lasciando passare un messaggio di libertà che vincola il senso della vergogna ad un polo negativo di assenza con produzione di comportamenti irrefrenabili e scevri dal comune senso del pudore e della vergogna.

Sembra, e la letteratura scientifica ha acquisito diverse prove di veridicità, che l’essere umano, spesso, non sia in grado né di riconoscere le sue emozioni né di avere potere di controllo su di loro e che, i chiari segnali di disregolazione affettiva da lui percepiti sono tenuti in scarsa considerazione perché, molto probabilmente, non sa come definirli, come chiamarli, come descriverli e come curarli.

Il tempo, che solitamente, aiuta a stabilire e creare relazioni, può spesso cronicizzare uno stato distorto di relazione e, perdere di utilità quando nella quotidianità viene trascurata l’attenzione alle dinamiche relazionali, alle caratteristiche personali, alle abitudini resistenti, alla qualità di vita condotta o alle diverse interpretazioni concettuali sulle regole sociali condivise.

Se dal versante religioso, la Chiesa cattolica ha imposto nel tempo il corso pre-matrimoniale come occasione per sensibilizzare i soggetti alla reciproca assistenza e collaborazione, dal versante sociale nulla è avvenuto per sviluppare competenza individuale, relazionale e genitoriale, né l’introduzione a scuola di alfabetizzazione emotiva né in famiglia un’attenzione particolare a rieducarsi nella loro parte mancante.

Così, ciascuna persona, nell’impossibilità di trovare un tempo per mettere a confronto il modello educativo ricevuto con le esigenze del proprio mondo attuale per poter eliminare usi e costumi ormai obsoleti e inadeguati o, nell’impossibilità di pervenire ad una consapevolezza della propria struttura di personalità utile a definire la qualità delle scelte, organizza la costruzione del proprio nido familiare sulla base del sentimento e della passionalità.

Si scontra così, senza alcuna protezione, con la diversità di ruolo e di funzione, con le caratteristiche psicologiche dominanti e rigide di ciascuno e con una comunicazione scontata e rituale che non tiene conto del rispetto della sensibilità della persona.

La famiglia, costruita come un nido d’amore dalla coppia che con fatica ed entusiasmo realizza un progetto di vita insieme, in questi primi anni del terzo millennio è, al centro di una tempesta mediatica sollecitata da una realtà sociale che, da più parti, evidenzia le carenze, le disfunzionalità e le difficoltà a strutturarsi per durare nel tempo e resistere alle intemperie della vita e purtroppo, i figli innocenti che stanno dentro le famiglie problematiche ne sopportano i pesi e le responsabilità.

Litigi momentanei ma continui, conflitti sempre aperti, separazioni, divorzi ed omicidi offrono uno scenario poco rassicurante per chi aspira a formare una famiglia sia attraverso la convivenza che attraverso l’istituzione del matrimonio civile o religioso.

Se, da una parte, l’unione di due persone è determinata da un sentimento che fa star bene, che fortifica e che sorregge attraverso una serie di effusioni e comportamenti rituali ancorati a degli schemi esistenti e creati alla nascita, dall’altra parte invece viene richiesto alla coppia un accordo contrattuale regolato prima di tutto dai ruoli maschili e femminili condivisi socialmente, oggi in crisi e da ridefinire e poi, dalle necessità che quel particolare tipo di famiglia nascente manifesta. 

Si configurano, così, due contratti distinti e separati: uno affettivo ed uno sociale che richiedono una responsabilità individuale per il primo tipo mentre, per il secondo tipo, una responsabilità collettiva.

Perché questi due contratti impliciti e condivisi non reggono nel tempo?

Il gap, delicato e terribile allo stesso tempo è, molto probabilmente, nell’interseco tra i due contratti che la coppia nascente si accinge a stipulare. 

Sembra che la coppia non sia veramente consapevole che si prepara ad impegnarsi e a rispettare due contratti precisi e densi di significato. 

È convinta che il sentimento che li tiene uniti durerà tutta la vita e saprà resistere a tutte le difficoltà. 

Non è consapevole della delicatezza dell’impegno perché sensibile a qualunque piccola sollecitazione interna ed esterna e, non è consapevole delle conseguenze terribili perché i contratti sono assunti da individui che, preventivamente, non hanno verificato la loro maturità psichica personale, il loro adeguato contesto sociale, il loro sviluppo di competenze di ruolo e di funzione e che, nella loro immaturità o mancanza si traducono in grave sofferenza personale e relazionale.

La relazione affettiva, nel suo significato più benevolo, garantisce una stabilità psichica, benessere esponenziale e buona qualità di vita nel caso in cui i soggetti, che si manifestano l’affetto, sono centrati sulla preoccupazione primaria dell’uno verso l’altro ma, è luogo di grande sofferenza, di tormenti ed ossessioni quando l’incapacità a realizzare sé stessi, di uno dei due soggetti o di entrambi, si scontra con la loro pretesa di dare senso alla propria esistenza attraverso la presenza dell’altro su cui assumere il controllo per l’ovvia paura di perderlo.

Il nido familiare, costruito ed organizzato per garantire la gioia e la vita è, dunque, allo stesso tempo, luogo di sofferenza e di morte e le tragedie umane familiari si susseguono nell’impotenza di chi sa e non parla, di chi capisce e non interviene, di chi prevede e lascia realizzare. 

Essere consapevoli e responsabili della differente possibilità di realizzare l’uno o l’altro scenario familiare induce alla riflessione di rendere urgente la possibilità, per i giovani e non solo, di affrontare argomenti e situazioni supportate da servizi sociali e da professionisti che, oltre a fornire conoscenze ed informazioni siano in grado di farsi carico di mediazione culturale, comunicazionale e relazionale.

Occorre pensare quindi ad un tempo del conoscersi per poter pensare ad un impegno serio verso l’altro per entrambi i soggetti della coppia o ad un tempo del riflettere per poter pensare ad una ricollocazione della coppia scoppiata

Un tempo sostenuto, supportato, chiarito e verbalizzato che sia in grado di frenare il precipitare delle separazioni, dei conflitti continui e delle tragedie umane senza fine.

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