10 concetti della Psicologia orientale


Redazione
10 concetti della Psicologia orientale

La Psicologia, almeno per come la intendiamo comunemente in Occidente, ha avuto origine in Europa e ha come pietre miliari il laboratorio di Wundt a Lipsia e il divano di Freud a Vienna. L’origine del pensiero psicologico è però ben più antica, basti pensare ai concetti filosofici del pensiero di Platone e Aristotele.

Anche in altre civiltà, geograficamente e culturalmente lontane, si sono sviluppate delle teorie psicologiche strutturate. In Giappone, in particolare, nonostante una differente visione della vita, meno individualista ma comunque molto attenta all’introspezione, troviamo una delle più interessanti espressioni della Psicologia orientale.

Vediamo insieme 10 concetti appartenenti alla cultura nipponica, ognuno con un approfondimento a cura della Psicologa e Psicoterapeuta Valentina Ambrosio.

1. Shikata ga nai
Accettare il cambiamento e lasciar andare

Shikata ga nai è un termine giapponese di difficile traduzione e interpretazione. Significa, letteralmente, Non c’è nulla da fare.

Di fronte ad eventi drammatici e molto dolorosi, prendere consapevolezza dell’impossibilità di avere il controllo su tutto favorisce un atteggiamento di resilienza e di forza.

Accettare il cambiamento non significa subire passivamente le avversità della vita; ma lasciar andare il passato e accogliere il nuovo con gioia.

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2. Danshari
Fare spazio e ordinare dentro e fuori di sé

Il Danshari è una tecnica, relativamente recente, che insegna a fare spazio e ordinare il proprio caos esterno e interno.

Il messaggio racchiuso in tale principio spinge a liberarsi dell’eccesso e consente di scegliere con attenzione cosa realmente si desidera, di buttare via, di fare spazio prima fisico e poi mentale, di ordinare la propria vita.

Danshari invita a concentrarsi su sé stessi, nel presente, a focalizzarsi sui propri desideri e bisogni attuali.

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3. Nanakorobi yaoki
Cadere e rialzarsi

Nella cultura giapponese sono tanti i proverbi che inneggiano alla resilienza, il più famoso è sicuramente Nanakorobi yaoki. Il suo significato è cadi sette volte, ti rialzi otto.

Non contano le volte che hai fallito o fallirai, conta la capacità di rialzarsi e riprovare. Ritentare.

Mirare dritto all’obiettivo, migliorare il tiro, e ritentare. Crederci, mantenere un pensiero positivo, anche nei momenti di smarrimento interiore.

Nanakorobi yaoki non consiglia di girare le spalle alla sofferenza, anzi, di accoglierla e, successivamente però, di trovare la forza per andare avanti.

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4. Ikigai
Trovare la chiave della felicità

Ikigai è un termine giapponese di difficile traduzione, che si può interpretare come ciò che ci spinge ad alzarci la mattina, il motore della vita, la spinta a fare.
Insomma ikigai significa trovare la chiave della felicità.

Secondo i giapponesi, tutti abbiamo il nostro ikigai – il nostro scopo vitale – ma spesso non ne siamo consapevoli.

Questo perché ci affanniamo a produrre, a raggiungere obiettivi sempre più alti, ci riempiamo di impegni e obblighi.

Ma perdiamo di vista la vera essenza della piccole cose per cui essere grati ogni giorno e che diamo spesso per scontate.

È il piacere per i piccoli gesti quotidiani, l’entusiasmo per ciò che si fa, la passione per la propria vita e quella di chi amiamo.

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5. Arugamama
Smettere di procrastinare con la terapia dell’azione

Arugamama vuol dire, in senso letterale, prendere atto delle cose così come sono.
Ovvero accetta i tuoi pensieri ed emozioni e mantieni il focus sui tuoi obiettivi.

Certo, pare facile a dirsi, difficile a farsi. E allora come evitare ulteriori fallimenti?

Partendo da piccoli, microscopici, ma fondamentali passi in avanti. Costanti, lenti, ma quotidiani.

Un minuto al giorno, un gradino, una pagina di un libro, una sigaretta in meno.

Agendo, la motivazione arriverà e sarà il motore ad andare avanti.

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6. Kijō
Il volto del dolore

Per i giapponesi invece sì, il dolore ha un volto, e si traduce con il termine kijō.

Il Giappone, contrariamente a quanto si può pensare non rifugge il dolore, semplicemente lo rilega ad una sfera intima e personale della propria vita.

Si parte dal presupposto che la sofferenza va vissuta in modo soggettivo e personale. Si soffre, tuttavia non bisogna addolorare chi ci è vicino.

È il concetto di kijō, cioè il volto del dolore per i giapponesi.

Significa compostezza: ovvero la sofferenza esiste, ha un volto ed è esperita, ma mai in maniera plateale o esagerata.

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7. Sukkiri
Eliminare e far spazio

Sukkiri vuol dire eliminare e far spazio.
Eliminare ciò che è inutile – che non serve più, che non è più funzionale o che per noi in quel momento non apporta più alcun beneficio – e far spazio ad altro.

Alle volte può essere difficile liberarsi di ciò che è superfluo o che ci appesantisce.

Si innescano tante sensazioni ed emozioni: senso di colpa, paura del cambiamento, abitudine, dolore, malinconia, solitudine.

Tuttavia se si riesce con coraggio a tagliarese ne raccoglieranno i risultati.

D’altronde le piante hanno bisogno di essere potate per prepararsi alla nuova stagione, il serpente fa la muta e cambia la pelle vecchia, ogni essere vivente affronta delle trasformazioni che prevedono il lasciar andare qualcosa.

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8. Sekkusu shinai shokogun
La sindrome del celibato

Un giapponese su due non desidera sessualmente l’altro partner. Il fenomeno si chiama sekkusu shinai shokogun ed è meglio noto come sindrome del celibato.

Quindi, oltre a non sposarsi e a non intraprendere relazioni affettive, questi giovani adulti appaiono a volte addirittura disgustati dall’argomento sessualità.

In generale emerge un forte blocco a livello non solo fisico, ma anche psicologico, rispetto all’argomento.

 I giovani giapponesi hanno obiettivi a lungo termine diversi e ciò porta ad una difficoltà di intrecciare le proprie vite e le proprie mani.

Così si trova soddisfazione nel sesso virtuale o occasionale nei love hotel, nei manga o nei giochi di ruolo. In altri casi semplicemente si rinuncia e si sublima il desiderio con altri interessi e passioni.

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9. Yukkuri
L’arte del fermarsi

Dedicare tempo allo Yukkuri, all’arte del fermarsi, vuol dire dedicare tempo a sé stessi e a osservare.
È il più grande regalo che ci si possa fare.

La lentezza è spesso vista come una perdita di tempo, come un deficit, è letta in termini negativi.

È giustificata solo quando ci sono cause di forza maggiore: malessere psicofisico, attività complesse, compiti nuovi.

In quei casi lo Yukkuri – l’arte del fermarsi – è permesso.

Ma giusto il tempo di riprendersi, di imparare, di acquisire padronanza e questo lusso non è più concesso.

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10. Taijin kyofusho
L’ansia sociale Made in Japan

Taijin kyofusho letteralmente significa paura delle relazioni interpersonali.
È una forma di ansia molto strana, e pare tipicamente legata alla cultura giapponese.

Il nodo critico risiede nella paura di come potrebbe reagire il contesto ambientale, mentre nell’ansia sociale la paura è legata all’esporsi agli altri.

Il popolo giapponese è conosciuto per essere estremamente rispettoso e gentile verso il prossimo, ma queste qualità enfatizzate al massimo causano disagio.

L’estrema attenzione a non creare disturbo e la tendenza esasperata al perfezionismo, genera ansia ogni volta che ci si interfaccia in pubblico.

L’interesse della collettività prevale su quello del singolo individuo, non contano i bisogni personali ma quelli del gruppo.

Esistono diversi sottotipi di questo disagio: paura di arrossire, di emanare cattivo odore, di toccarsi e che il proprio corpo sia deforme.

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