50 sfumature d’ansia e speransia
Perché non riusciamo a difenderci dall’assalto emotivo interiore? Perché, sovrastati dalla paura, non riusciamo a godere delle cose belle?
Filtra per Argomento
L’incertezza sembra essere la condizione esistenziale dominante dei nostri giorni e con essa la nostra paura di tutto. Abbiamo tanti motivi per essere divorati quotidianamente dall’ansia.
Oggi anche un’allerta meteo può diventare motivo di ansia. E, se non ce l’abbiamo già, basta accendere la tv e sintonizzarci sul TG per essere indotti ad averla.
Persino le cose belle sembrano contaminate dall’ansia e crediamo che si possano volatizzare in un batter d’ali se gli diamo troppa importanza.
Quando succede qualcosa di veramente bello, preferiamo non divulgare troppo la notizia, perché non si sa mai… Ci mettiamo facilmente a nudo sui social ma le belle notizie sono le ultime ad essere comunicate. Magari solo alla fine quando diventano certe e intoccabili dalla signora sfiga.
Siamo un po’ tutti torturati dal terrore di cosa potrebbe accadere se qualcosa non andasse secondo i nostri piani, e secondo i piani internazionali, il nuovo è un enigma troppo grande da tollerare e l’incontrollabile una opzione da non considerare.
Se poi ci illudiamo di aver programmato tutto e aver eseguito un calcolo millimetrico degli imprevisti, c’è sempre qualcosa che ci sfugge.
Allora proviamo ad evitare, nel limite del possibile, talune situazioni e persone potenzialmente pericolose per non sentir l’emozione nemica per eccellenza, la paura, e con lei eliminare quella indesiderata sensazione di ansia nel petto.
Purtroppo con scarsi risultati, perché l’amica piano piano avvolge tutto, la testa, la pancia, le mani e varie altri parti del corpo che prima non aveva considerato.
Ti può interessare anche: Le emozioni giuste per l’apprendimento
Al di là dei motivi, più o meno importanti, che ci spingono ad essere allarmati e che si sedimentano nella nostra mente tanto da distoglierci dalla piacevolezza di ciò che ci circonda, il problema ansia merita di essere considerato da una prospettiva più ampia, distinguendo i casi più preoccupanti dalla semplice e normalissima ansietta che riguarda tutti.
Parlo di problema solo nei casi in cui l’eccessiva preoccupazione non riguarda sporadici episodi della nostra vita, ma rimane lì sullo sfondo delle nostre giornate e non possiamo più parlare di evento isolato, ma di costante presenza.
Per essere più concreti se diventa motivo di agitazione un appuntamento, una festa, una discussione, un viaggio, la mail finita nello spam, la scelta di spostarsi in treno o in aereo, il vestito da comprare, il metabolismo che rallenta, il tempo che passa, quel treno che non arriva, la strada sbagliata, i soldi che non bastano, l’esame non andato, la riunione con il capo, una relazione finita male, il figlio che non arriva, quell’anno in più sulla torta del mio compleanno, il lavoro che non c’è, il mio spendere e spandere, la mia insicurezza perenne, la decisione da prendere. La lista potrebbe espandersi all’infinito.
In queste situazioni, l’ansia diventa una condizione di vita, un tratto che caratterizza la nostra personalità. Questo qualcosa, che assomiglia ad una nebulosa, ci avvolge in maniera esistenziale, mettendo in discussione tutto ciò che siamo e che facciamo tanto da rovinare i nostri progetti e le nostre relazioni.
Il più delle volte non è solo un concetto, ma è un fantasia, un vero e proprio videoclip con tanto di effetti speciali su ciò che potrebbe succedere. Dobbiamo ammettere che in queste circostanze ci sentiamo molto abili come sceneggiatori, peccato che questo talento scompaia nei momenti di calma.
E mentre, tristi, vediamo sfumare in lontananza la statuetta del Nobel alla sceneggiatura, l’interlocutore seduto al nostro tavolo ci osserva con sguardo compassionevole, dicendoci l’ennesimo stai tranquillo, va tutto bene. E noi puntualmente vorremmo urlargli addosso che con la bacchetta magica anche noi staremmo tranquilli.
Molto meglio stare al calduccio dentro al nostro film interiore, togliersi di dosso quello sguardo pietoso, quella inutile frase finale, e distenderci nelle nostre fantasie. Chi ci sta davanti lentamente scompare dall’orizzonte mentale e finiamo per ritrovarci soli, ogni giorno di più.
Le nostre fantasie ansiogene non sono solo scene apocalittiche, ma anche proiezioni di calma, benessere, successo che si verificano solo in presenza di determinate condizioni.
Ad esempio starei tranquilla se la mia casa fosse sempre in ordine, se avessi il posto giusto in azienda, se conoscessi già tutte le persone alla festa, se avessi la persona giusta al mio fianco, se avessi una taglia in più di reggiseno, se mi capissero veramente, se la gente fosse più comprensiva.
Non cado in utili moralismi, mi sento anch’io parte di questo vortice. Ma non si può accettare di vivere costantemente nella paura.
L’umore non può rappresentare il termometro delle nostre giornate, né diventare l’indice del fatto che la nostra vita non vada come vogliamo. Questo per me non è godersi la vita.
E su questo credo che possiamo farci qualcosa. Focalizzandoci verso gli obiettivi che immaginiamo ci risparmieranno dall’ansia. Una volta individuati, potremmo perseguirli.
Con un po’ meno scetticismo potremmo iniziare a condividere le cose belle della nostra vita, e non sui social, ma di fronte a due occhi che gioiscono con noi.
E poi dircelo tutti quanti che siamo ansiosi. Non è un virus, non siamo gli unici con questo problema, e tutti sono più ansiosi di quanto siano inclini a dirci. Anche le coppie più innamorate del mondo soffrono. Ed anche il magnate si sente depresso.
Credo che il bombardamento d’immagini ci porti a pensare sempre meno, quindi dobbiamo fermarci ed usare il nostro cervello per stare autenticamente a contatto con la realtà e con ciò che siamo realmente. La prospettiva su tutto sta venendo meno, dobbiamo avere il nostro punto di vista.
Dobbiamo darci il permesso di gridarlo a gran voce. E se non esce fuori, scriverlo, perché scripta manent.
E poi ridiamoci su questa ansia, perché ridere ci dà sollievo e ridimensionerà la scala assurda delle nostre ambizioni. E subito dopo guardiamoci l’un l’altro, come tanti sopravvissuti alla brutalità dell’esistenza, dicendoci nel modo più gentile possibile: lo so, ti capisco!