L’importanza delle funzioni esecutive


Vincenzo Adamo
L’importanza delle funzioni esecutive

Organizzare le tappe di un viaggio on the road.

Prendere delle decisioni economiche vantaggiose.

Comportarsi in maniera socialmente appropriata con un estraneo.

Pianificare la strada più breve per tornare a casa, visti i lavori in corso in tangenziale.

Attività che svolgiamo tutti i giorni, senza farci granché caso: queste sono le cosiddette Funzioni Esecutive.

Le funzioni esecutive sono degli elementi che contraddistinguono, più di ogni altro aspetto, l’uomo dalle altre specie animali tanto da essere considerate abilità cognitive superiori: la pianificazione e l’organizzazione del proprio comportamento, la valutazione delle sue conseguenze e la capacità di inibire alcune risposte.

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Cosa sono le funzioni esecutive

Questa espressione è stata utilizzata per la prima volta circa trent’anni fa dalla Neuropsicologa Muriel Lezak per descrivere quelle capacità cognitive che rendono un individuo in grado di eseguire un comportamento indipendente, finalizzato e adattivo.

Infatti, comprendono abilità che rendono ogni individuo in grado di stabilire degli obiettivi, evidenziare nuove strategie per raggiungerli con il passare del tempo o al variare delle situazioni e delle richieste ambientali, di adattare questi piani in azione.

Entrano in gioco nei compiti non ordinari, cioè in quelle situazioni a cui non siamo abituati.

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Secondo il modello di Lurija – ideato nel 1966 – sono proprio le aree prefrontali del cervello, connesse con il cervelletto e i nuclei sottocorticali, a essere responsabili dell’insieme di abilità che sono racchiuse oggi nel termine Funzioni Esecutive.

È importante notare da un punto di vista evolutivo come la corteccia prefrontale abbia raggiunto la massima grandezza e complessità funzionale nei primati, in particolare nell’uomo, dove occupa circa un terzo del nostro cervello.

Le funzioni esecutive fredde e calde

Alcuni studiosi in passato hanno diviso le funzioni esecutive in due macro aree: fredde e calde.

Le prime raggruppano quegli elementi maggiormente legati alla trasformazione delle informazioni e basati su un’elaborazione complessa, cognitiva, controllata e quindi più lenta, facilmente chiamati in causa per problemi astratti e decontestualizzati.

Ad esempio:

  • La memoria di lavoro, che permette di mantenere in memoria informazioni e manipolarle per brevi periodi;
  • L’inibizione, cioè la capacità di inibire deliberatamente gli impulsi e le informazioni irrilevanti;
  • La flessibilità e la pianificazione, cioè la capacità di attuare comportamenti diversi in base al cambiamento di regole o del tipo di compito.

Le funzioni esecutive calde fanno riferimento alla capacità relativa al controllo emotivo e comportamentale – come ad esempio la capacità di posticipare la gratificazione e gestire le emozioni – si tratta in questo caso di un’elaborazione semplice e rapida, che interviene nelle situazioni di stress.

La ricerca sulle funzioni esecutive

Un gruppo di ricercatori tedeschi ha indagato la relazione tra funzioni esecutive fredde e diversi tipi di comportamento aggressivo.

Per tre anni in un gruppo di bambini di scuola primaria sono state monitorate l’inibizione, la memoria di lavoro, la flessibilità cognitiva e la capacità di pianificazione.

Nel corso dei tre anni gli insegnanti dei bambini sono stati incaricati di valutarne i comportamenti aggressivi dividendoli in:

  1. Aggressioni fisiche;
  2. Aggressioni relazionali;
  3. Aggressioni reattive, in risposta alle provocazioni;
  4. Aggressioni pro-attive, comportamenti aggressivi pianificati, non conseguenti a provocazioni.

Analizzando i dati, i ricercatori hanno scoperto che più erano carenti le funzioni esecutive fredde, più si osservavano comportamenti aggressivi, sia fisici sia relazionali.

Queste aggressioni, connesse con la carenza di funzioni esecutive erano, però soltanto di tipo reattivo e non pro-attivo.

Secondo i ricercatori i comportamenti reattivi dipenderebbero da un’incapacità di controllare gli impulsi e, in questo senso, avrebbero una relazione con la carenza di funzioni esecutive; le aggressioni pro-attive, invece, richiedono una pianificazione e di conseguenza sono più difficilmente attuabili senza un’adeguata efficienza delle funzioni esecutive.

Negli ultimi anni questo campo della psicologia cognitiva ha destato l’interesse di molti ricercatori e operatori del settore impegnati in ambito evolutivo, soprattutto per le notevoli ripercussioni delle funzioni esecutive su molti ambiti della vita quotidiana di bambini e adolescenti: scuola, relazioni sociali, ecc.

L’importanza delle funzioni esecutive è testimoniata da diverse ricerche scientifiche; è stato riscontrato come il loro funzionamento aiuti a predire in età scolastica le capacità matematiche, i risultati in scienze e in materie letterarie, anche a prescindere dal quoziente intellettivo.

Inoltre è stato dimostrato come training cognitivi mirati a sviluppare alcune competenze e praticare arti marziali e yoga permettono un potenziamento nelle funzioni esecutive; essendone stata verificata l’associazione con un miglioramento in alcune aree quali le capacità matematiche, i risultati nelle materie letterarie, la migliore comprensione del testo e le capacità di ragionamento.

Letture consigliate

Approfondimenti

  • Cicerone K. D., Mott T., Azulay J. (2008), A randomized controlled trial of holistic neuropsychologic rehabilitation after traumatic brain injury, Archives of Physical Medicine and Rehabilitation, 8
  • Diamond A. (2012), Activities and Programs That Improve Children’s Executive Functions, Current Directions in Psychological Science, 21 (5)
  • Miyake A., Friedman N. P. (2012), The nature and Organization of Individual Differences in Executive Functions: Four General Conclusions, Current Directions in Psychological Science, 21 (1)
  • Rohlf H. L., Holl A. K., Kirsh F., Krahé B., Elsner B. (2018), Longitudinal links between executive function, anger, and aggression in middle childhood, Frontiers in behavioral neuroscience, 12, 27
  • Seguin J. R., Arseneault L., Tremblay R. E. (2007), The contribution of “cool” and “hot” components of decision-making in adolescence: implications for developmental psychopathology, Cognitive Development, 22 (4)

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