Lo stress lavoro correlato è ora riconosciuto dall’OMS
Lo stress lavoro correlato - il burnout - è stato riconosciuto ufficialmente dall'OMS, che l'ha inserito nell'ICD-11.
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Lo stress lavoro correlato - il burnout - è stato riconosciuto ufficialmente dall'OMS, che l'ha inserito nell'ICD-11.
Un sociopatico può essere un impiegato modello? Soffrire di un disturbo antisociale di personalità è necessariamente un aspetto negativo nel contesto lavorativo?
L’OMS definisce il concetto di salute come uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non semplicemente l’assenza di malattia e d’infermità e chiede ai governi di adoperarsi responsabilmente, attraverso un programma di educazione alla salute, per la promozione di uno stile di vita consono allo sviluppo di condizioni pratiche in grado di garantire ai cittadini un alto livello di benessere.
Negli ultimi anni si è sempre più diffusa l’attenzione al benessere psicofisico della persona nell’ambiente lavorativo, per cui è sempre crescente la necessità di valutazione del rischio stress lavoro correlato.
Lo stress è una delle funzioni di cui l’organismo umano dispone per far fronte alle pressioni e alle minacce esterne e per adattarsi alle condizioni dell’ambiente di vita, perciò è da intendersi come un elemento essenziale del vivere.
Tuttavia, in determinate condizioni, le sollecitazioni che generano stress possono divenire eccessive fino al punto di non essere più sopportabili dalla persona, con conseguenze negative per la salute dell’individuo.
Fu il fisiologo austriaco Hans Selye nel 1956 a definire lo stress come la reazione a-specifica dell’organismo a ogni richiesta effettuata su di esso.
Lazarus parlò di stress descrivendo l’interazione che intercorre tra l’organismo e l’ambiente nel momento in cui le richieste ambientali sono percepite dal soggetto come eccessive, mettendo a rischio il benessere individuale.
Dalla definizione di Selye e Lazarus prende corpo quella di stress lavoro correlato, che può essere definito come la percezione di squilibrio avvertita dal lavoratore quando le richieste dell’ambiente lavorativo eccedono le capacità individuali per fronteggiare tali richieste.
Alcune attività lavorative, soprattutto se si tratta di lavori usuranti che richiedono nella quotidianità un certo impegno psichico, producono nei soggetti che le praticano stati di stress, a volte anche di elevato livello. Tra questi sono catalogate come fenomeni negativi del lavoro alcune forme di disagio che stanno emergendo in modo preoccupante nell’ultimo decennio, proprio nel settore della sanità.
Il termine burnout tradotto letteralmente acquista il significato di bruciato fuori e indica un processo mediante il quale eccessive e/o pesanti richieste lavorative possono determinare nel soggetto interessato un esaurimento emotivo, seguito dalla perdita di sensibilità verso gli altri con i quali lavora e dei quali ha la responsabilità e, successivamente, da sentimenti d’inefficacia, frustrazione e impotenza.
Secondo le cifre fornite dall’European Agency for Safety and Health at Work le vittime dello stress da lavoro in Europa, sarebbero circa quaranta milioni, colpite da malattie professionali quali disturbi gastrointestinali e cardiovascolari, affaticamenti e depressioni.
I costi per la collettività sono altissimi in termini di giorni lavorativi perduti ogni anno – 50-60% – pari a circa 20 miliardi di euro.
Il problema affligge in pratica tutti i Paesi dell’Unione Europea in egual misura, colpendo il 10% della popolazione, rappresentando la prima causa di malattia riferita dai lavoratori. Nel dettaglio non si tratta solo di difficoltà di tipo organizzativo, infatti, circa il 6% dei lavoratori in Europa è stata esposta, nell’arco di dodici mesi, a minacce e violenza fisica e il 5% a molestie e mobbing.
Secondo queste rilevazioni, tra le categorie più vulnerabili ci sarebbero insegnanti, medici, infermieri e poliziotti.
Nel 2000 Maslach e Leiter hanno perfezionato le componenti della sindrome da stress lavoro correlato attraverso tre dimensioni:
Evidenziando come questa sindrome non è più esclusiva delle professioni d’aiuto, ma è possibile trovarla in qualsiasi organizzazione lavorativa.
Il punto centrale è quindi sviluppare il benessere di una struttura lavorativa puntando sul buon funzionamento, nei termini di rendimento e produttività, e sulla presenza di un clima e di rapporti interpersonali all’interno della stessa che favoriscano il conseguimento dei suoi intenti.
Lo stress sperimentato dai lavoratori, qualora non dovesse essere prevenuto e monitorato, va a incidere all’interno delle organizzazioni proprio su questi aspetti, generando costi elevati sia per l’azienda sia per l’intero sistema sanitario.
Una condizione che l’OMS, dopo decenni di studi, ha deciso di riconoscere come sindrome, fornendo anche direttive ai medici per diagnosticarla. L’ente ha anche specificato che prima di diagnosticare agli operatori il burnout occorre anche escludere altri disturbi che presentano sintomi simili come il disturbo dell’adattamento, l’ansia o la depressione.
Il burnout non è una condizione medica o una malattia ma un fenomeno legato al lavoro quindi non può essere estesa anche ad altre aree di vita.
Il burnout – si legge sul sito dell’agenzia speciale dell’Onu per la salute – è incluso nell’undicesima revisione dell’International Classification of Diseases – ICD-11 – come un fenomeno occupazionale (stress da lavoro) .
Nel documento la sindrome è inserita nel capitolo dei fattori che influenzano lo stato di salute. Secondo l’OMS il burnout è una sindrome che deriva dallo stress cronico che si crea sul posto di lavoro e che non è stato gestito bene. È caratterizzato da tre dimensioni: esaurimento fisico e mentale, distacco crescente dal proprio lavoro e una ridotta efficienza.
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Il burnout è un fenomeno multifattoriale che si verifica nel momento in cui coesisteranno diversi fattori stressanti. Questi appartengono principalmente a due macro categorie:
Il danno reale che può provocare la sindrome del burnout non è limitato alla salute dei lavoratori, poiché investe, sia pure in modo diverso, una platea di soggetti molto più vasta, come ad esempio l’utenza e la società in generale.
In una società dinamica ed esigente, dove performance e risultati sono i nuovi valori, spesso ci si trova a fare i conti con i limiti della mente.
Farber differenzia il burnout in tre subtipologie in relazione alla sintomatologia e ai comportamenti degli individui aggrediti da tale sindrome:
Oggi stiamo vivendo un periodo molto particolare, dove al lavoratore sono richiesti grandi cambiamenti e imposto un adeguamento, non scelto ma necessario, a nuove condizioni lavorative ed economiche.
La prevenzione della sindrome del burnout può essere praticata nelle ASL, nelle Aziende ospedaliere e nelle altre strutture sanitarie di ricovero, solo dopo aver monitorato attentamente lo svilupparsi del fenomeno in ambito aziendale, averne analizzate le possibili cause e avere, di conseguenza, individuato i reparti a rischio.
Strumenti utili per affrontare questa situazione possono consistere in un adeguamento della pianta organica, nella riduzione degli orari di lavoro, nell’assunzione di altre unità di personale, ecc.
Questi interventi peraltro dovrebbero essere preceduti o seguiti da un’intensa attività d’informazione/formazione dei lavoratori sulla sindrome del burnout e sulle possibili cause e conseguenze per la loro salute.
L’intento deve essere l’abbattimento del rischio e quindi la prevenzione dello stress lavoro correlato attraverso opportuni interventi.
Dalla letteratura scientifica – PRIMA-EF, 2009/linee guida – si evince che sono tre i principali tipi d’interventi per la gestione dello stress lavoro correlato:
La valutazione del rischio – Risk Assessment – rappresenta una fase, importante ma non esaustiva, di un percorso che prevede di far fronte alle fonti di rischio individuate e agli effetti che questi possono determinare sui lavoratori.
La gestione del rischio – Risk Management – ha invece due obiettivi principali: la progettazione e l’attivazione di programmi d’intervento con riduzione dei rischi, la valutazione e il monitoraggio dei cambiamenti previsti da questi programmi.
Al tempo stesso, il management aziendale dovrebbe istituzionalizzare periodiche e sistematiche attività di controllo del burnout, mediante il medico competente, coadiuvato da uno staff di specialisti – psichiatri, psicologi, ecc. – al quale sottoporre a rotazione tutto il personale sanitario a rischio.
Alla luce di nuove conoscenze socioculturali non solo mediche, il concetto di salute si è ampliato coinvolgendo altri aspetti più globali e importanti della vita dell’individuo.ù
Questo nuovo concetto di salute non si riferisce solo all’assenza di malattia, ma coinvolge anche aspetti psicologici, la vita lavorativa, economica, sociale e culturale, tutto ciò che interagisce in senso positivo o negativo con l’esistenza dell’essere umano.
L’individuo può ben adattarsi ad affrontare un’esposizione alla pressione entro poco tempo, cosa che può anche essere considerata positiva, ma ha una maggiore difficoltà a sostenere un’esposizione prolungata a un’intensa pressione.
Inoltre i singoli individui possono reagire diversamente a una stessa situazione data oppure possono reagire differentemente a situazioni similari in momenti diversi della propria vita.
Lo stress non è una malattia ma, un’esposizione prolungata a esso può ridurre l’efficienza nel lavoro e può causare malattie.
È necessario cogliere l’opportunità per favorire una nuova cultura della sicurezza nelle organizzazioni, distinguendo chiaramente, con il ricorso ad approfonditi strumenti di monitoraggio, tra valutazione del rischio, cioè la probabilità che si sviluppino condizioni di disagio lavorativo e valutazione dello stress, cioè la rilevazione dell’effettivo disagio del singolo lavoratore.
Occorre privilegiare una prospettiva di ricerca-intervento, mirando a coinvolgere tutti gli attori dell’azienda nell’analisi delle condizioni di stress/benessere; solo così sarà possibile promuovere nei lavoratori una piena consapevolezza sui temi della salute organizzativa e dei fattori della sicurezza.