Quando e perché ci arrabbiamo?
Gestire e comprendere l’emozione primaria della rabbia, che nasce in specifici momenti, è difficilissimo. Impariamo a conoscerla meglio.
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Gestire e comprendere l’emozione primaria della rabbia, che nasce in specifici momenti, è difficilissimo.
Alcune dinamiche, comportamenti, eventi e situazioni ci portano al limite al punto di non essere capaci di gestire il momento in cui diventiamo aggressivi.
Perché spesso quando ci arrabbiamo mettiamo in atto comportamenti aggressivi tesi a proteggerci dalla minaccia che abbiamo davanti, reale o presunta.
L’aggressività la si può definire come la disposizione ad attaccare, verbalmente o fisicamente, oggetti o esseri viventi.
È una tendenza che può essere presente in ogni comportamento e in ogni fantasia volta all’etero o all’autodistruzione o autoaffermazione.
Tra i fattori determinanti di un comportamento violento sono stati individuati quelli:
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Esperienze di privazione, rifiuto, svalutazione e frustrazione subite, inducono alcune persone a diffidare sistematicamente dei propositi altrui, a distorcerne le comunicazioni, a fraintendere i comportamenti e ad attribuire loro, in modo arbitrario, delle intenzioni ostili.
Sentimenti di vulnerabilità, associati a fragile autostima, esagerano la preoccupazione di questi individui ad essere rispettati, determinano in loro uno stato di allerta permanente, li inducono ad amplificare ogni evento che possa rappresentare una minaccia per loro, li espongono frequentemente a reazioni di rabbia ed intolleranza, li rendono in definitiva inclini a guardare ogni incontro con gli altri in termini di amicizia/inimicizia.
Nella maggior parte dei casi, ci arrabbiamo quando qualcosa o qualcuno si oppone alla realizzazione di un bisogno, ma soprattutto quando capiamo e percepiamo una chiara intenzionalità ad ostacolare l’appagamento a cui tendiamo.
Si attivano in noi meccanismi inconsci psicologici che ci spingono ad agire con modalità aggressive al fine di eliminare l’oggetto frustrante.
Un elemento determinante dell’associazione frustrazione-aggressione è dato dalla natura della frustrazione. Le frustrazioni arbitrarie ispirano l’aggressività, ma le frustrazioni non arbitrarie – quelle che sembrano avere una ragione sufficiente – no.
Se ad un paziente è stato promesso un caffè ed un’uscita dal reparto, sarà furioso se il personale sanitario continuerà a rimandare quanto promesso senza alcuna ragione. Se invece gli infermieri sono impegnati ad assistere un altro paziente che si è sentito male e quindi non possono accompagnare fuori altre persone, la frustrazione non si tradurrà in collera.
Inoltre è stato osservato che la forza della reazione aggressiva cresce se la frustrazione avviene poco prima del soddisfacimento di un bisogno.
Ogni nuova frustrazione rafforza la tendenza aggressiva, finché il soggetto non agisce violentemente. A questo punto, il livello di attivazione della persona si abbassa, è cominceranno ad accumularsi nuove frustrazioni.
Numerosi studi hanno dimostrato come nello stato di deindividuazione perdiamo ogni interesse per noi stessi come individui e ci concentriamo sul qui ed ora senza pensare al passato o al futuro.
In questo stato i soggetti non sono sottoposti ai normali meccanismi di autocontrollo: valori, preoccupazione per le relazioni altrui, senso di colp).
La deindividuazione si verifica spesso nelle folle. Quando le persone si trovano in questo condizione, tendono ad avere un comportamento energico, ripetitivo e difficile da interrompere.
Possono compiere azioni normalmente inibite come atti aggressivi. Il comportamento di una persona che compie un atto aggressivo in uno stato di deindividuazione può essere molto intenso, difficile da interrompere e indirizzato alla cieca (violenza di gruppo).
Quanto più appare ingiusto al soggetto il modo in viene trattato, aggredito, svalutato, tanto più si sente fragile e sotto pressione, tanto più sale l’eccitazione e il ragionamento perde la lucidità.
Chi si sente vittima, afferma Beck, può allora trasformarsi in aggressore, creando una nuova vittima ed innescando un circuito perverso in cui ognuno ha motivo di percepire l’altro come persecutore.