Il cervello dei papà reagisce in base al genere del figli
Uno recente studio scientifico ha esaminato le differenze di comportamento, linguaggio e attività cerebrale dei papà nei confronti dei loro figli.
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I figli sono tutti uguali, almeno dal punto di vista dei diritti e delle opportunità che devono avere.
Ma, nonostante il sicuramente genuino sentimento di chi afferma di non avere preferenze tra avere un figlio maschio o femmina, la differenza di genere cambia il modo in cui ci si relaziona a loro.
In particolare il recente studio Child Gender Influences Paternal Behavior, Language, and Brain Function dei ricercatori della Emory University e della University of Arizona ha esaminato le differenze di comportamento, linguaggio e attività cerebrale dei papà.
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Lo stereotipo più diffuso nel nostro paese è quello di un papà che desidera un figlio maschio per tramandare tutto il suo mondo di calcio, sport, motori, donne, ecc.
Un ometto da plasmare a propria immagine e somiglianza, destinato a diventare il portatore di tutti quelle caratteristiche associate alla mascolinità.
Questa visione del rapporto maschile viene confermata dagli studi scientifici condotti finora: i papà tendono a prediligere il rough-and-tumble play con i loro pargoli di sesso maschile: una modalità di gioco e relazione più fisica e ruvida.
Ci sono inoltre differenze nel linguaggio utilizzato con i maschietti; i papà usano nei loro confronti un maggior numero di termini associati al successo e alla realizzazione: termini come vincere, orgoglio e migliore sono molto più diffusi di parole rimandanti a un contenuto emotivo.
I risultati più sorprendenti delle ricerche esaminate dagli autori dello studio sui papà, riguardano il rapporto di questi ultimi con le figlie.
Ciò che è emerso contrasta con l’immagine tradizionale di un babbo a disagio tra le bambole, le scarpette della danza e al cospetto di un esserino apparentemente più delicato.
In realtà i papà sono molto più attenti e premurosi nell’analizzare e soddisfare i bisogni delle proprie figlie, più di quanto non facciano con i maschietti.
I padri inoltre cantano più spesso per le loro figlie e dialogano apertamente su emozioni e sentimenti, anche sulla tristezza: sono in generale maggiormente disposti ad accettare i sentimenti delle loro piccole anziché quelli dei maschietti.
Le differenti modalità di interazione dei padri nei confronti della prole in base al genere non sono basate soltanto sulle osservazioni racchiuse nei vari studi scientifici.
In questo ultimo studio, quello citato all’inizio di questo articolo, i ricercatori hanno posto l’attenzione anche sui meccanismi neurali che intervengono nella relazione padre-figlio e padre-figlia.
A un’analisi con tecniche di neuroimmagine è emerso che i padri hanno una reazione più marcata alle espressioni facciali felici delle figlie: si ha un maggiore livello di attivazione delle aree mediale e laterale della corteccia orbitofrontale, importanti per i circuiti cerebrali della ricompensa e della regolazione emotiva.
Nel relazionarsi dei papà con i figli maschi, si ha invece una maggiore risposta neurale alle espressioni facciali neutre di questi ultimi: si attiva maggiormente solo l’area mediale della corteccia orbitofrontale.
I padri si relazionano quindi in maniera differente alla prole in base al genere dei propri figli, probabilmente ciò è dovuto a un intreccio di fattori biologici, evolutivi e sociali che hanno portato nel tempo il nostro cervello a sviluppare differenti pattern comportamentali nell’interazione con la propria progenie.