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Il fascino del rischio


Valentina Ambrosio
Il fascino del rischio

Gli adolescenti – che siano della Generazione X, Y, Z o di epoche passate in cui neanche esistevano le lettere per denominare questa fase del ciclo vitale – nonostante gli anni, condividono un fattore in comune: la ricerca del e il fascino per il rischio.

Molti ragazzi a quell’età non riescono a prevedere le conseguenze delle loro azioni e non pensano al futuro.

Sono spesso descritti come impulsivi, imprevedibili, instabili, lunatici. Si sentono grandi ma si comportano, a volte, ancora come dei bambini capricciosi.

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Adulti a metà

Sebbene un grosso peso lo riveste il contesto sociale e familiare in cui il ragazzo vive; spesso si ignora che c’è una componente cerebrale.

L’adolescenza è una fase di turbolenza, di rimodellamento e cambiamento a livello globale: fisico, psichico, e soprattutto cerebrale.

La corteccia prefrontale – la regione che controlla la memoria di lavoro, l’inibizione e la gestione degli impulsi – è ancora in fase di sviluppo. Il sistema limbico, invece, è già maturo ed è sensibile alla ricompensa ottenuta dal rischio.

Non è possibile ottenere sinapsi perfette di punto in bianco, ci vuole del tempo prima che le connessioni funzionino in modo scorrevole.

Solo con l’età adulta i due sistemi deputati alla ragione e al sentimento si allineano e comunicano tra loro.

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Ma perché amiamo il rischio?

Ma cosa spiega a fondo il fascino del rischio?

Sono due i fattori principali che intervengono: il gruppo dei pari e la dopamina. Se uniti creano una combinazione esplosiva!

Quando facciamo una scoperta o proviamo una nuova esperienza di qualsiasi genere, la dopamina aumenta.

La dopamina è un neurotrasmettitore celebrale che agisce in base ad un meccanismo di retroazione. Per cui se una persona ne ha parecchia in circolo e il livello scende, si verrà stimolati a perseguire una determinata attività.

Ecco perché quando saliamo sulle montagne russe vogliamo fare il bis, o guidare sempre più veloce, o assumere droga, bere.

Il cervello richiede sempre maggiore quantità di dopamina perché la sensazione che dà è di piacere.

Non è un caso, infatti che la dopamina, insieme alla serotonina è definita ormone della felicità.

E se la neurobiologia non bastasse la psicologia sociale fa il resto.

Il senso di sé si forma nel corso degli anni ed emerge dalle riflessioni su come gli altri ci vedono.

Il looking glass self dell’adolescente si forma sui giudizi, sulle riflessioni e sugli atteggiamenti che gli altri hanno nei suoi confronti.

Ovviamente l’immagine che un familiare o un adulto rimanda al ragazzo è di poca importanza a confronto dell’immagine che rimanda un altro adolescente.

Per cui per apparire degno di valore agli occhi dei pari, l’adolescente può essere spinto ad assumere comportamenti rischiosi. E verrà incentivato a continuare dalla scarica di dopamina!

Quindi è essenziale che gli adulti o genitori fungano da corteccia prefrontale dei ragazzi, una sorta di sistema ausiliario che risolve i problemi.

Bisogna esercitarsi nell’arte del funambolismo: da un lato rispettare e incoraggiare la propensione al rischio intesa come scoperta, curiosità, messa alla prova, perché è essenziale per sperimentarsi.

Dall’altro lato occorre indirizzarli e guidarli perché nonostante portino il 40 di piede e mangino 2 etti di pasta sono ancora immaturi.

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